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      La piazza

      Pubblicato da Giulia Guarienti il Marzo 15, 2021
      Categorie
      • Short Story 2020
      Tag

      Presentiamo oggi il racconto 3° classificato della VI edizione del premio letterario Short Story “Omaggio alla leonessa”: La piazza di Cristina Vischi

      Maria passa dalla piazza quasi tutti giorni, da molti anni, da una vita.

      Quando andava a scuola la attraversava di corsa, con la cartella sulle spalle, d’inverno un po’ più velocemente che nelle altre stagioni per via del vento freddo che arriva dalla valle, un vento capriccioso che scombina le idee dei cittadini, un vento frizzante in autunno, rigido d’inverno, intrigante in primavera.

      Un vento che si trasforma in brezza d’estate.

      La piazza è rettangolare, stretta e lunga, invita al cammino veloce. Un tempo si chiamava piazza Duomo per via del duomo naturalmente, anche se nella piazza ci sono due cattedrali, una di fianco all’altra. Sono due chiese così diverse tra loro: una grande, grandiosa e altera, l’altra più semplice, più piccola ma misteriosa e affascinante. Si trovano entrambe sullo stesso lato della piazza e Maria ha sempre pensato che si facessero un po’ di compagnia, che si sorreggessero, si sostenessero, si proteggessero.

      Forse proprio le due chiese sono la ragione per la quale hanno cambiato nome alla piazza, forse non solo per via del papa nato a pochi passi dalla città, forse perché dire piazza del duomo pareva quasi sbagliato: quale duomo? Quello vecchio o quello nuovo? Curiosità che Maria non ha mai condiviso con nessuno ma che ogni tanto fanno capolino tra un passo e l’altro perché Maria, non avendo visitato molte città, non ha visto molte altre piazze del duomo e certamente non ha mai visto un’altra piazza con due cattedrali.

      Quando Maria entra nella piazza rivolge sempre lo sguardo alla collina del castello che fa capolino da dietro la torre del Broletto. Guarda in alto per vedere come cambia il colore del cielo dietro la cupola del duomo nuovo mentre cerca di indovinare come sarà la giornata osservando come si muovono le fronde degli alberi.

      Quando Maria era piccola la piazza le sembrava non finire mai nonostante la percorresse correndo e saltando con tutta l’energia tipica dei fanciulli.

      D’inverno la nebbia densa si infilava tra i vicoli e qualche volta faceva il suo ingresso in piazza coprendola di mistero e magia: da un po’ di anni la nebbia non si vede più in città e non è più molto frequente nemmeno in campagna.

      La nebbia, il freddo, la piazza: sono passati decenni ma se chiude gli occhi Maria può sentire ancora il peso della cartella sulle spalle che si somma a quello del cappotto che non scivola sopra il maglione le cui maniche si sono malamente arrotolate e le comprimono le braccia.

      Può chiaramente percepire il fastidio provocato dalla sciarpa e dalla cuffia di lana che pungono e arrossano la pelle.

      Se ripensa a quei tempi, quelli della scuola, sente il freddo che passa tra le maglie delle calze di lana e l’elastico che stringe sotto le ginocchia, sente il profumo del pane caldo uscire dal forno: unica nota di tepore immersa in un gelo pungente, duro, inesorabile.

      Maria crescendo ha imparato a camminare in fretta, senza correre e saltellare, indugiando, talvolta, per osservare i passanti: la signora ben vestita, l’uomo col cappello che sorride alla fidanzata, la ragazzina che arrossisce ai complimenti di un gruppo di ragazzotti, la vecchia con il foulard in testa che vende mazzi di fiori all’angolo, il bambino con il naso sporco di zucchero uscito sorridente dalla latteria.

      I passi crescendo si sono fatti più lunghi, rapidi e frettolosi.

      Un tempo attraversava quasi correndo la piazza per andare al lavoro almeno un paio di volte al giorno: ogni pretesto era buono per passare da quello che, per Maria, era il centro del mondo.

      Ora percorre la piazza a piccoli passi: lenti e insicuri perché la piazza non è cambiata, non molto, ma il suo modo di attraversarla sì.

      Adesso che non lavora più è diventato quasi un rito, per lei, passeggiare e osservare. Non si siede mai per bere un caffè, non ha mai avuto il tempo, nemmeno per pensare o desiderare di farlo e ora le mancano le disponibilità per permetterselo.

      Adesso però che i tavolini della piazza sono così numerosi e che non sono appannaggio di pochi e che addirittura vi accedono anche i ragazzini e non solo quelli di buona famiglia, adesso, qualche volta, pensa che forse, un bicchiere d’acqua, al bancone, forse, potrebbe anche chiederlo, un bicchiere d’acqua frizzante però, che non si pensi che non voglia pagare. Capita qualche volta che accenni un passo titubante verso l’ingresso di uno dei bar ma poi succede sempre qualcosa: un cagnolino al guinzaglio tenuto da una padrona disattenta che le taglia la strada, un ragazzino che la urta, un bambino nel passeggino che urla e attira la sua attenzione, un giovane che le chiede qualche spicciolo. Succede sempre qualcosa che la riporta alla realtà, alla sua realtà, quella in cui non si può perdere tempo per un caffè in un bar perché c’è da fare, quella in cui non si spendono soldi inutilmente perché non ce ne sono molti e quei pochi si sono guadagnati faticosamente, quella in cui Maria non fa parte e non può concedersi di far parte di quel gruppo di fortunati che nella vita si possono permettere una pausa senza una buona ragione.

      E allora in quella sua realtà che gli altri non vedono e non capiscono Maria si rifugia, si intristisce, si piega sotto il peso di doveri che sono tutti e solo suoi.

      Sospirando riprende il suo cammino, attraversa la piazza per svolgere le incombenze quotidiane guardandosi intorno e osservando come muta velocemente il mondo, come è colorato, semplice, vivace e veloce soprattutto, molto veloce, sempre più veloce.

      Ma poi basta una coppietta appartata nel vicolo che costeggia il duomo nuovo per riportare Maria di nuovo indietro nel tempo, nei suoi pensieri e nella sua piazza in bianco e nero: le sembra per un attimo di ringiovanire, sente quel profumo di pane appena sfornato che accompagnava i suoi sogni e il dolore profondo dell’addio dato ad un amore appena sbocciato.

      La piazza ha visto scorrere tutta la sua vita, è il luogo dove tutti suoi amori sono nati e si sono conclusi. Dove ha sognato un’altra vita con il garzone del fornaio che aveva un’ambizione così grande da poter ospitare Maria e tutti i suoi sogni. Ma per entrare nei sogni degli altri bisogna trovare la chiave per aprire la porta giusta che sia la nostra o quella dell’altro o entrambe e la chiave dell’amore, qualche volta, può non bastare.

      Il garzone l’aveva baciata la prima volta nel vicolo che sale verso il nord della città e in quel vicolo le aveva detto che sarebbe partito con una compagnia teatrale di lì a pochi giorni. Maria avrebbe potuto seguirlo, cercavano comparse e aiuti, garantivano vitto e alloggio: il loro cammino poteva continuare e trasformarsi nella loro storia.

      Ma è saggio lasciare il certo per l’incerto? È bene seguire lasciare la retta via? La felicità in fondo non è dietro l’angolo?

      A volte per essere felici è necessario cambiare e a volte cambiare significa ferire, deludere, lasciare.

      La piazza, immobile nella sua maestosità, accoglie e ospita, non chiede e accetta.

      La piazza è rassicurante perché sempre uguale a se stessa e perché è sempre lì, non aspetta ma non tradisce, non abbraccia ma non nega.

      Maria avrebbe potuto ma non ha scelto di cambiare strada, ha preferito continuare a percorrere la stessa, sempre uguale, prevedibile e in qualche modo comoda.

      E così è trascorsa la vita di Maria, dalla piazza alla piazza e attraverso la piazza, una vita di passaggio, una vita da passante, una vita senza fermate se non nella piazza.

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      Chi siamo

      Francesco Ferrazzi

      Bresciano, classe 1992, si laurea a pieni voti in Lettere e consegue un Master Internazionale in Sceneggiatura presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Attualmente professore di Italiano e Storia presso un Istituto Superiore Statale, insegna di giorno e scrive di notte.

      Giulia Guarienti

      Ideatrice e animatrice del blog. Nata a Brescia nel 1993. Laureata prima in Lingue a Bergamo, poi in Scienze del Linguaggio a Venezia. Legge ovunque possa farlo, ma scrive rigorosamente di nascosto.

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